Lamberto Sposini è un nome che ha segnato la storia del giornalismo e della televisione italiana, con una carriera iniziata alla fine degli anni Settanta, tra programmi Rai e Mediaset, fino al ruolo da anchorman del Tg5 e conduttore de La vita in diretta. Nel 2011 un’emorragia cerebrale lo ha colpito improvvisamente, allontanandolo da ogni palcoscenico pubblico. Da quel momento la sua esistenza è cambiata radicalmente.
La malattia lo ha privato della capacità di parlare e scrivere, lasciandolo con un’afasia profonda: riconosce le parole, può comunicare con gli occhi e il volto, ma non riesce più a esprimersi verbalmente. Questa condizione lo costringe a dipendere dagli altri per le cure quotidiane e limita fortemente la sua autonomia.
Fisicamente, Sposini ha dovuto affrontare interventi e lunghe sedute di riabilitazione. A volte ha subito fratture a causa di cadute, come l’umero rotto nel 2015, che hanno interrotto momentaneamente il suo progresso terapeutico. Nonostante ciò, per lungo tempo ha frequentato strutture in Italia e in Svizzera, con costi altissimi (addirittura 30.000 € al mese per la logopedia specializzata), sostenuti in parte dalla famiglia.
Sul piano sociale, la sua vita risulta oggi estremamente isolata. Testimonianze rivelano che gli amici lo hanno in gran parte abbandonato, la moglie non è più al suo fianco e gli affetti si contano sulle dita di una mano. Gli unici contatti rimasti sono quelli con gli spettatori che continuano a seguirlo online. Una pagina social dedicata raccoglie ancora messaggi di stima e affetto, segno che il pubblico non lo ha dimenticato.
Le polemiche non sono mancate. Nel racconto di familiari e legali si è parlato di ritardi nei soccorsi durante l’ictus, con dispositivi e diagnosi errate che avrebbero aggravato il danno cerebrale e compromesso le possibilità di recupero. Questo evento ha alimentato un senso di abbandono da parte delle istituzioni e della Rai.
Il ritardo nell’ambulanza e nei soccorsi è diventato, insieme alle conseguenze sul suo cervello e sulla sua comunicazione, un simbolo dell’incapacità di un sistema sanitario – o di gestioni interne all’azienda – di reagire con la tempestività necessaria in casi di estrema emergenza cerebrale. La sostanza di questo episodio rimane una ferita aperta.
Non essendo più in grado di lavorare, Sposini ha rinunciato a ogni prospettiva professionale. Non tornerà in TV, né sui giornali come giornalista: la sua carriera si è chiusa quel tragico aprile del 2011. Ora l’unica speranza resta la riabilitazione a domicilio, i tempi lunghi, il lavoro lento e meticoloso con fisioterapisti e logopedisti.
È una vita scandita da pause e silenzi. Non ci sono redazioni, interviste, sorrisi sotto i riflettori, ma solo il rumore degli ausili e il peso della quotidianità, fatta di gesti minimi, faticosi ma essenziali. Forse, da questo isolamento può ancora nascere un piccolo presente, un futuro personale, privo di palcoscenici ma non per questo meno ricco di dignità.
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