La Corte Suprema degli Stati Uniti ha stabilito che Donald Trump, nella sua veste di ex presidente e attuale candidato repubblicano, ha agito entro i limiti costituzionali quando, nel 2020, ordinò il dispiegamento della Guardia Nazionale a Los Angeles durante le proteste scoppiate dopo la morte di George Floyd.
Con una decisione che ha spaccato la Corte lungo linee ideologiche – 6 voti a favore e 3 contrari – i giudici hanno respinto il ricorso del governatore della California, Gavin Newsom, che sosteneva come la presenza militare fosse una violazione dell’autonomia statale e dei diritti civili dei manifestanti.
Il pronunciamento rappresenta una vittoria legale significativa per Trump, in un momento in cui la sua campagna elettorale è nuovamente al centro del dibattito politico nazionale. Il verdetto, però, ha suscitato forti critiche da parte dei democratici e dei movimenti per i diritti civili, che denunciano il rischio di un abuso del potere esecutivo federale nei confronti degli Stati.
“La Costituzione conferisce al presidente l’autorità di intervenire in situazioni di emergenza nazionale”, si legge nella sentenza di maggioranza, redatta dal giudice Samuel Alito. “Il dispiegamento a Los Angeles è stato giustificato dal contesto di violenza e disordini che minacciavano la sicurezza pubblica”.
Di segno opposto il commento della giudice Sonia Sotomayor, autrice del parere di minoranza: “Questa decisione apre la strada a un pericoloso precedente in cui il governo federale può militarizzare le città contro la volontà dei loro stessi cittadini”.
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